Ciao Omero! Apprezzo molto l'argomento che hai deciso di trattare in questo forum, anche perchè riguarda tutti noi da molto vicino: come ben sai sempre più juniores disertano gli studi per inseguire il sogno lontano di diventare dei professionisti di bridge, e questa è una cosa tristissima. Non voglio essere fraintesa, capisco nel profondo lo stato d'animo di queste persone. Io stessa amo il bridge più di tutto il resto e spesso cado nella tentazione di abbandonare i libri per qualche ora e collegarmi a Bridge Base o andare al circolo, ma abbandonare totalmente gli studi è tutta un'altra cosa... Non ne faccio una questione di cultura personale; credo che una persona non laureata possa essere eugualmente erudita o colta e possa comunque, col tempo, acquisire le conoscenze e il "saper-fare" tecnico per inserirsi nel mondo del lavoro. Tutto ciò è solo più difficile e richiede molto più impegno di quanto non ne porti via lo studio universitario. Il problema è, piuttosto, che i nostri juniores ritengono di non avere il tempo di fare tutto ciò e, come ben si sa, una cosa è studiare a 20 anni e una cosa è provare in un futuro a recuperare le lacune che l'assenza di un certo impegno universitario ed extrauniversitario hanno man mano creato. Tra l'altro, in Italia (per fortuna o purtroppo, dipende dai punti di vista) la presenza di un titolo di studio è ancora fondamentale per poter accedere ad impieghi di livello medio-alto; perchè precludersi questa possibilità alla tenera età di 20 anni? La mia mente va, oltre che ai nostri amici del bridge, anche a tutti quelli che abbandonano i propri studi per inseguire un'improbabile carriera, possa questa essere quella di calciatore, di modella, di cantante. Lasciare tutto per inseguire un sogno, anche se lì per lì può sembrare bellissimo, è "statisticamente" sbagliato, adesso spiego perchè. Guardando per un attimo ai "grandi" del bridge possiamo effettivamente notare che alcuni di loro hanno col tempo lasciato il lavoro per diventare dei veri professionisti, e che questo li ha sicuramente aiutati ad emergere e a specializzarsi; del resto è inaudito pensare che un medico che passa tutta la giornata in sala operatoria possa rendere al tavolo da bridge quano qualcuno che si sveglia a mezzogiorno e passa, se mai, il pomeriggio a settare convenzioni dichiarative col proprio partner. Tutto ciò è sotto gli occhi di tutti e sicuramente non è passato inosservato a chi, fin da giovane, si è votato a questo tipo di scelta. Quello che, però, non hanno preso in considerazione e che invece, a mio avviso, è degno di nota, è il fatto che solo pochi fortunati, allo stato attuale dei fatti, possono dire di vivere (e vivere bene) con i soli proventi del bridge. Alcuni possono godere di proventi più o meno occasionali dovuti a prestazioni eseguite nel corso di vari tornei o a saltuarie lezioni di bridge tenute al circolo del paese, ma i veri "stipendiati del bridge" si contano sulla punta delle dita. E' questo quello che intendevo quando ho scritto che lasciare tutto è "statisticamente sbagliato". Quanti di loro ce la faranno veramente? Io non penso più di un paio, anzi, potrei dire con la certezza quasi assoluta che nessuno avrà la vita facile che adesso sta sognando; e quanto costerà a questi futuri uomini tornare sui libri alla tenera età di 35 anni o iniziare a lavorare con la consapevolezza di non riuscire fisicamente ad arrivare all'età della pensione? Lasciare tutto per il bridge è come smettere di lavorare nella convinzione di poter, un giorno, vincere la lotteria. Che dirti? Mi auspico di assistere il prima possibile ad un'inversione di tendenza: non è ancora troppo tardi per riprendere i libri in mano... Saluto tutti e ringrazio in anticipo chi deciderà di replicare (nel bene o nel male) a questo intervento. Lydia